giovedì 10 aprile 2008
"...io trovo dappertutto la poesia anche nell'atrio a casa mia tra odor di chiuso e di brioche"
Cinaski è il mio poeta vivente preferito.
Vinicio è il suo prolungamento in musica.
Ascoltate leggendo.
“ PERCHE’ TI CHIAMANO CINASKI?"
C’era una luna strafottente la notte in cui attendevo con terrore l’arrivo del giorno dopo,il mattino avrebbe portato con se le domande terribili di una professoressa di matematica che in base alle risposte ricevute mi avrebbe giudicato:dovevo essere interrogato.
Se le interrogazioni non si chiamassero cosi non incuterebbero terrore e non ti farebbero sentire colpevole soprattutto quando non sai un cazzo. Quella mattina mi alzai da casa con la determinazione di chi qualcosa doveva fare,si qualcosa di ingegnoso per evitare l’interrogatorio. Pensai ad una bomba nella scuola,all’invenzione di uno sciopero a qualsiasi cosa per tirarmi fuori da una figura marrone. Ero in quella fascia di età in cui si è troppo giovani per avere coraggio e troppo grandi per essere vigliacchi,era l’età dell’incoscienza: 16 anni.
Mentre l’autobus mi portava al supplizio le fermate scalavano e si avvicinava la discesa,la discesa all’inferno come avrebbe detto il mio amato Rimbaud. Mi ero già ingollato un paio di sorsi di Johnny Walker per farmi coraggio e una lattina di Heineken,la colazione degli incoscienti.
Bevevo già da un anno e il fisico mi aiutava a sopportare la velocità con cui stavo crescendo e a reggere oltre l’alcool la sorte che mi voleva vittima delle mie paure e di una maledetta infezione al fegato che mi aveva regalato su tutto il corpo ma in particolare su viso, tronco e spalle le cheloidi,tumori della pelle grossi come fave che lasciavano cicatrici aperte e dolorose insomma una cosa chiamata acne cheloidea che mi aveva allontanato da tutti e spinto verso l’odio nei confronti del mondo e amore per tutto quello che mi faceva dimenticare e sentire un altro:l’alcool!
Assorto nei miei pensieri quando mi rimisi in connessione con me stesso la fermata alla quale dovevo scendere era già passata da tre,decisi allora di proseguire e andare verso la città.
La città attendeva un giovane leone e io mi sentivo un giovane in preda alla smania di crescere e farla finita.
L’odore di pizza in via Torino era forte come i fiori in primavera e gli ultimi soldi rimasti in tasca mi consentivano almeno un assaggio.
Mangiavo la mia pizza e passeggiavo davanti alla Rinascente e mentre camminavo osservavo in maniera neutra le facce e le speranze e condividevo i sogni e le illusioni ma loro non lo sapevano e io li ignoravo erano solo materiale per il libro che sognavo di scrivere o la poesia che mi girava in testa in quel momento.
Nessuno pensa che a 16 anni si possano scrivere poesie a meno che non ti chiami Rimbaud e ti innamori di te stesso ma io sapevo che la gioventù è un lusso e che a me interessava solo capire come farla franca e conservare la dignità di chi le cose le sa ma non ha voglia di discuterle.
La fuffa, le scuse per far comprendere al mondo che io non stavo perdendo ma era il mondo che stava perdendo me e perdendo l’ennesima occasione di scoprire un poeta che non sapeva neanche di esserlo.
Io non lo so se lo fossi ma quando mi trovai sotto la galleria Vittorio Emanuele di fonte ad una locandina cinematografica con il culo di Ornella Muti in bella vista mi fermai e non so se fosse un pensiero poetico a muovermi o gli ormoni del sedicenne che erano in me ma entrai in quel cinema e cercai il mio posto in solitaria per evitare chiunque e mi sedetti aspettando il Film.
Si trattava di "Storie di ordinaria follia" di Marco Ferreri tratto da un libro di Charles Bukowski ed io non conoscevo nessuno dei due e non vedevo l’ora di vedere il culo di Ornella Muti ma dopo un quarto d’ora tutto quello che avevo imparato a proposito della poesia francese e della maledizione era diventato segatura di fronte a quello che stavo vedendo.
La poesia che racconta la poesia, Ferreri che racconta Bukowski con la faccia di Ben Gazzarra,non credevo fosse possibile scrivere in quel modo raccontando la vita e l’alcool non c’entrava un cazzo io già bevevo da un anno pensando a Baudelaire che in quel momento mi sembrava l’ultimo dei poeti.
Ecco cosa cercavo uno che la vita la prendesse come veniva e gli facesse capire che in fondo non sentiva la necessità dell’amore corrisposto nei confronti della vita e coltivava il culto del silenzio quando non si ha niente da raccontare.
Avevo trovato la mia strada,e ne dovevo fare ancora tanta ma appena fuori dalla sala ormai dimentico del culo italico cominciai a mandare affanculo tutto quello che mi aveva affascinato fino a quel momento…gli hippies, la beat generation fate l’amore non fate la guerra e cominciava la mia guerra personale in nome dell’amore per la vita.
Non rinnegavo niente ma avevo semplicemente cambiato strumento ora l’asfalto cominciava a prendere senso gli odori e le puzze diventavano i profumi della vita avevo incontrato la chiave ora non mi restava che trovare la porta.
Di fronte a me c’era il negozio di libri Ricordi e forse non era un caso che fosse proprio di fronte all’uscita del cinema.
Entrai ma in breve realizzai che non avevo più una lira mi avventurai comunque alla ricerca di un libro qualsiasi di Charles Bukowski e quello che trovai era perfetto: raccolta di poesie dal titolo "462-014" che poi scoprii essere il numero telefonico della casa in cui il vecchio ha vissuto per un periodo,numero che avrei composto innumerevoli volte per innumerevoli notti ottenendo sempre la stessa risposta: - desculpe el senor bukowski,el borrachon no esta mas aqui….-
Una volta fuori dalla libreria il vecchio e le sue parole erano uscite con me,il mio primo esproprio letterario,e comiciai a divorarlo tanto che arrivato a casa era già finito.
Il giorno dopo sotto il mio banco scolastico il Johnny Walker che stava sempre li ad aspettarmi in solitaria aveva trovato un compagno,il mio primo libro di Bukowski.
Cominciai a diffondere il verbo per tutta la scuola e tutta la citta, era il 1980 e la miopia della stampa italiana aveva come sempre ignorato l’esistenza e la portata di tale scrittura era ancora impegnata a commentare le foglie che cadono,la luna che splende e le stelle che luccicano .
Solo quando i francesi se ne accorsero dopo i tedeschi allora anche noi,e per noi intendo gli addetti ai lavori, ce ne accorgemmo…ma io ero arrivato prima e ne ero fiero
Alla faccia di Beniamino Placido.
Fu cosi che una notte dopo l’ennesima telefonata a vuoto e l’ultimo bicchiere di rum quando mi sentii chiamare Hans che era il mio soprannome li mandai tutti affanculo urlandogli addosso di chiamarmi Chinaski che da quel momento in poi io ero Henry Chinaski
E che non capivano un cazzo della vita tanto quanto me ma se non altro io cercavo di viverla in ogni suo aspetto perché solo così un giorno avrei potuto raccontarla.
Nel giro di pochi giorni cominciarono a chiamarmi Chinaski…….. ma ormai avevo scoperto Francois Villon e non potevo più cambiare nome…
Vincenzo Costantino Cinaski
http://www.myspace.com/carlocinaski
Vinicio è il suo prolungamento in musica.
Ascoltate leggendo.
“ PERCHE’ TI CHIAMANO CINASKI?"
C’era una luna strafottente la notte in cui attendevo con terrore l’arrivo del giorno dopo,il mattino avrebbe portato con se le domande terribili di una professoressa di matematica che in base alle risposte ricevute mi avrebbe giudicato:dovevo essere interrogato.
Se le interrogazioni non si chiamassero cosi non incuterebbero terrore e non ti farebbero sentire colpevole soprattutto quando non sai un cazzo. Quella mattina mi alzai da casa con la determinazione di chi qualcosa doveva fare,si qualcosa di ingegnoso per evitare l’interrogatorio. Pensai ad una bomba nella scuola,all’invenzione di uno sciopero a qualsiasi cosa per tirarmi fuori da una figura marrone. Ero in quella fascia di età in cui si è troppo giovani per avere coraggio e troppo grandi per essere vigliacchi,era l’età dell’incoscienza: 16 anni.
Mentre l’autobus mi portava al supplizio le fermate scalavano e si avvicinava la discesa,la discesa all’inferno come avrebbe detto il mio amato Rimbaud. Mi ero già ingollato un paio di sorsi di Johnny Walker per farmi coraggio e una lattina di Heineken,la colazione degli incoscienti.
Bevevo già da un anno e il fisico mi aiutava a sopportare la velocità con cui stavo crescendo e a reggere oltre l’alcool la sorte che mi voleva vittima delle mie paure e di una maledetta infezione al fegato che mi aveva regalato su tutto il corpo ma in particolare su viso, tronco e spalle le cheloidi,tumori della pelle grossi come fave che lasciavano cicatrici aperte e dolorose insomma una cosa chiamata acne cheloidea che mi aveva allontanato da tutti e spinto verso l’odio nei confronti del mondo e amore per tutto quello che mi faceva dimenticare e sentire un altro:l’alcool!
Assorto nei miei pensieri quando mi rimisi in connessione con me stesso la fermata alla quale dovevo scendere era già passata da tre,decisi allora di proseguire e andare verso la città.
La città attendeva un giovane leone e io mi sentivo un giovane in preda alla smania di crescere e farla finita.
L’odore di pizza in via Torino era forte come i fiori in primavera e gli ultimi soldi rimasti in tasca mi consentivano almeno un assaggio.
Mangiavo la mia pizza e passeggiavo davanti alla Rinascente e mentre camminavo osservavo in maniera neutra le facce e le speranze e condividevo i sogni e le illusioni ma loro non lo sapevano e io li ignoravo erano solo materiale per il libro che sognavo di scrivere o la poesia che mi girava in testa in quel momento.
Nessuno pensa che a 16 anni si possano scrivere poesie a meno che non ti chiami Rimbaud e ti innamori di te stesso ma io sapevo che la gioventù è un lusso e che a me interessava solo capire come farla franca e conservare la dignità di chi le cose le sa ma non ha voglia di discuterle.
La fuffa, le scuse per far comprendere al mondo che io non stavo perdendo ma era il mondo che stava perdendo me e perdendo l’ennesima occasione di scoprire un poeta che non sapeva neanche di esserlo.
Io non lo so se lo fossi ma quando mi trovai sotto la galleria Vittorio Emanuele di fonte ad una locandina cinematografica con il culo di Ornella Muti in bella vista mi fermai e non so se fosse un pensiero poetico a muovermi o gli ormoni del sedicenne che erano in me ma entrai in quel cinema e cercai il mio posto in solitaria per evitare chiunque e mi sedetti aspettando il Film.
Si trattava di "Storie di ordinaria follia" di Marco Ferreri tratto da un libro di Charles Bukowski ed io non conoscevo nessuno dei due e non vedevo l’ora di vedere il culo di Ornella Muti ma dopo un quarto d’ora tutto quello che avevo imparato a proposito della poesia francese e della maledizione era diventato segatura di fronte a quello che stavo vedendo.
La poesia che racconta la poesia, Ferreri che racconta Bukowski con la faccia di Ben Gazzarra,non credevo fosse possibile scrivere in quel modo raccontando la vita e l’alcool non c’entrava un cazzo io già bevevo da un anno pensando a Baudelaire che in quel momento mi sembrava l’ultimo dei poeti.
Ecco cosa cercavo uno che la vita la prendesse come veniva e gli facesse capire che in fondo non sentiva la necessità dell’amore corrisposto nei confronti della vita e coltivava il culto del silenzio quando non si ha niente da raccontare.
Avevo trovato la mia strada,e ne dovevo fare ancora tanta ma appena fuori dalla sala ormai dimentico del culo italico cominciai a mandare affanculo tutto quello che mi aveva affascinato fino a quel momento…gli hippies, la beat generation fate l’amore non fate la guerra e cominciava la mia guerra personale in nome dell’amore per la vita.
Non rinnegavo niente ma avevo semplicemente cambiato strumento ora l’asfalto cominciava a prendere senso gli odori e le puzze diventavano i profumi della vita avevo incontrato la chiave ora non mi restava che trovare la porta.
Di fronte a me c’era il negozio di libri Ricordi e forse non era un caso che fosse proprio di fronte all’uscita del cinema.
Entrai ma in breve realizzai che non avevo più una lira mi avventurai comunque alla ricerca di un libro qualsiasi di Charles Bukowski e quello che trovai era perfetto: raccolta di poesie dal titolo "462-014" che poi scoprii essere il numero telefonico della casa in cui il vecchio ha vissuto per un periodo,numero che avrei composto innumerevoli volte per innumerevoli notti ottenendo sempre la stessa risposta: - desculpe el senor bukowski,el borrachon no esta mas aqui….-
Una volta fuori dalla libreria il vecchio e le sue parole erano uscite con me,il mio primo esproprio letterario,e comiciai a divorarlo tanto che arrivato a casa era già finito.
Il giorno dopo sotto il mio banco scolastico il Johnny Walker che stava sempre li ad aspettarmi in solitaria aveva trovato un compagno,il mio primo libro di Bukowski.
Cominciai a diffondere il verbo per tutta la scuola e tutta la citta, era il 1980 e la miopia della stampa italiana aveva come sempre ignorato l’esistenza e la portata di tale scrittura era ancora impegnata a commentare le foglie che cadono,la luna che splende e le stelle che luccicano .
Solo quando i francesi se ne accorsero dopo i tedeschi allora anche noi,e per noi intendo gli addetti ai lavori, ce ne accorgemmo…ma io ero arrivato prima e ne ero fiero
Alla faccia di Beniamino Placido.
Fu cosi che una notte dopo l’ennesima telefonata a vuoto e l’ultimo bicchiere di rum quando mi sentii chiamare Hans che era il mio soprannome li mandai tutti affanculo urlandogli addosso di chiamarmi Chinaski che da quel momento in poi io ero Henry Chinaski
E che non capivano un cazzo della vita tanto quanto me ma se non altro io cercavo di viverla in ogni suo aspetto perché solo così un giorno avrei potuto raccontarla.
Nel giro di pochi giorni cominciarono a chiamarmi Chinaski…….. ma ormai avevo scoperto Francois Villon e non potevo più cambiare nome…
Vincenzo Costantino Cinaski
http://www.myspace.com/carlocinaski
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1 commento:
Sarebbe un grande onore per questo intrattenitore dilettante che vi scrive poter leggere questo testo apprezzatissimo. Dove come non saprei ma lasciatemi se non altro il beneficio del fulmine a ciel sereno. Grazie a voi e a Cinaski.
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