Mo(nu)menti di bancone.

Ogni sera all’uscita dal lavoro passavo in quel bar che avevo ribattezzato El Pejor Bar de Caracas per dargli un nonsoché di epico, di fantiano.
E ogni giorno bastava che entrassi e dicessi due parole che subito una voce baritonale e cavernosa mi diceva “Cia’ Ro’ pigl’t’ a’ birr’!”.
Rambo stava lì in piedi orgoglioso della sua pancia.
Non sapevo perché lo chiamassero Rambo ma dal primo giorno in cui misi piede in quel bar lo chiamai sempre così. Rambo era uno dei personaggi fissi di quel posto, ascoltava le storie e captava tutti gli stati d’animo del momento. Ascoltava compiaciuto i dischi che Cocò metteva in quel lettore Dvd attaccato a quello stereo del 1980 che ormai da anni pregavamo tutti che si rompesse ma quella carriola musicale nera sta lì a distorcere ogni suono da anni imperterrita come a dire “Io non mi rompo e voi non rompetemi le palle!”
Quando entravo al Pejor Bar de Caracas Rambo sapeva che si cambiava musica. Rambo amava quella canzone che profumava di gioia e banda e festa popolare. A un certo punto prendevo quel disco e lo sostituivo nel lettore dvd, alzavo il volume e “Datemi GIO datemi GIO datemi GIO GIO IA GIO GIO IA GIO GIO IA” mi mettevo accanto a Rambo e cantavamo a squarcia gola il ritornello. Poi ripartiva la strofa e Rambo fischiettava di allegria. Urlavamo e ridevamo e la risata di Rambo rimbombava tra quelle mura spesse e di pietra.
A ora di cena Rambo tornava a casa con suo padre.
Prima di andar via si girava e mi diceva:
“Cia’ Ro’ ci vediamo domani!”
Rambo non mi ha mai visto in vita sua.
Rambo non vede.